Abbiamo l’esklusiva!

decrescita

Decrescita al guinzaglio.

Questa mattina vedendomi riflessa in una vetrina ho avuto un moto di nostalgia per il tempo gagliardo che fu. Sì, i mitici anni ’80, quelli della Milano da bere. Il vero e succulento morso alla vita, quello fatto con lipstick glossy e quel riff dei Talk talk che ti cantava dentro: Life’s s what you make it. Che goduria!

Un po’ perché eri giovane e carina, un po’ perché a quell’ epoca le cose andavano veramente bene. Ricordo la soddisfazione del primo apparecchio domestico per mandare e ricevere fax comprato a Hong Kong, o il primo forno a microonde nel quale mio figlio si scaldava il latte da solo la domenica all’alba (era piccolo, evidentemente. Poi, in un amen siamo passati direttamente alle birre e alla sveglia alle sei, ma di pomeriggio) e comunque.

Che figata il primo CD, The dark side of the moon, Pink Floyd. Ottima qualità, ma bruttino nell’aspetto e molto, ma davvero molto distante dall’originale su vinile che avrei riscoperto una decina d’anni dopo e che conservo tutt’ora in un raro esemplare. Quell’idea di suono pulito e perfetto, come tutto voleva essere in quel periodo. Nessun fruscìo di sottofondo, solo la benemerita e comodissima sensazione di essere approdati. Sì, a un’era perfetta, illusione di bellezza eppure grandissimo principio di abbruttimento. Avrei dovuto cogliere il segno di ammonizione celato nel titolo del CD dei benemeriti.

Noi, comunque ci si sentiva inattaccabili, gaudenti e, nella smania yuppie maturata dopo anni di contestazione, per sempre vincenti.

Tra le immagini simbolo di quegli anni confezionate dai comunicatori, ricordo una squadra di manager super laccati con assistenti adoranti strizzate in sensualissimi tailleur. La scena si consuma ovviamente in un grattacielo di Manhattan o di qualche city finanziaria e il quintetto provato da un’estenuante ma proficua trattativa esulta: “Abbiamo l’esclusiva” (puoi capire…)

E che dire dell’icona della donna viziata che fa shopping trascinata da sei cani dalmata al guinzaglio, tacco 12 e montagne di scatole e shopper in bilico sulla sua figura da top model, financo un po’ anoressica? Sai, quello shopping demenziale e compulsivo del sabato che ti si scatenava per compensare quel senso fastidioso di vuoto che iniziava a nascerti dentro ma al quale non eri ancora riuscita a dare un nome?

Ma andava bene così, spendevi cifre da capogiro per un tailleur griffato da sfoggiare in riunione, che poi magari ti capitava quello che è accaduto a me: cucitura posteriore aperta fino al cinturino per una falcata un po’ troppo decisa. Eh, noi donne rampanti…In quasi mutande, a strisciare piena di vergogna lungo la parete per conquistarmi l’uscita e farmi chiudere l’orlo alla bell’e meglio con una pinzatice da pacchi.

All’epoca non si parlava tanto apertamente dei piccoli bambini del Bangladesh che facevano quelle cuciture per una manciata di spiccioli. Per contro, il tuo shopping ti dava l’idea di essere parte attiva del grande meccanismo produttivo e commerciale che gira, florida ruota del benessere verso unapoteosi sublime; tanto, ne eri sicura, saresti caduta sempre in piedi, e per di più su un bel decolleté con tacco affilato.

Ora ti guardi. Hai compreso tante cose. Oggi sono i bambini del Bangladesh e l’ingiustizia del mondo che ti fanno strisciare lungo le tue pareti troppo bianche. Sono quei bambini e gli ultimi del mondo che danno un significato al tuo esistere.

È vero, hai sei cani al guinzaglio e ti muovi trafelata. Non indossi più un tacco dodici ma comode scarpe da ginnastica. Stai facendo la dog sitter, e in fondo ti piace. Inizialmente non lo avevi scelto come mestiere. Ora si. Non farai regali di Natale, semmai con i panettoni e pacchi che stai consegnando a domicilio per quattro spiccioli, pagherai la scuola a uno di quei bambini.

Se ti guardi specchiata nella vetrina, quei pacchi ti stanno addosso in bilico come alla tipa delladvertising; ma tu sei stanca, un po’ goffa, ti scappa anche la pipì.

Ma intanto, cosa accade nelle benemerite aziende con cui tu e i tuoi sventurati colleghi consulenti avete lavorato onorevolmente per un paio di generazioni? I mitici team – agguerriti e sempre ‘sul pezzo’ – che avevano ottenuto esclusive e cospicue fette di mercato come nelle immagini patinate di trent’anni prima, ora magari sono lì che cercano di fare fuori personale con le più dubbie strategie o stanno ‘terziarizzando’ produzioni in qualche sfortunato sud del mondo.

Tu magari vuoi ancora credere che sia possibile una collaborazione di valore e, dopo mesi e mesi di insistenza, ottieni finalmente una proposta. Wow, voglio pensare positivo! Basta, dover inciampare tutte le mattine nel groviglio di guinzagli, basta con le popo’ che pesti mentre ti distrai un attimo, magari guardando un cartello: Cercasi personale stagionale. (Ah, non interessa? Scusi, avevo capito stagionato…)

Ora devi essere felice! Hai l’esclusiva! Mica come le tue coetanee in cerca di occupazione per arrancare fino alla tardissima età pensionabile. Hai la vittoria in pugno; sei entrata nella squadra come stagista per un anno di apprendistato. Balbetti, sorridente come la bella Kaori (ricordate, la fanciulla asiatica dello spalmabile formaggino?), timida e impacciata come una novizia in trasferta studio. Chiedi di assentarti un attimo per fare una telefonata prima di accettare la proposta. Rjustika in questi casi non sta a farti troppe domande; sta pulendo il balcone e non ha tempo per parole superflue. Ti chiede solo:

Kuesti senjuori deto ke paga te?

Sarei in prova come assistente alla fotocopiatrice. Nove mesi di formazione senza stipendio. Primo stipendio dopo le ferie, 400 euro.

Aluora jo ti da exclusjva: tu vjene a fare di babysjter di mia kuognata. Lej paga te. Subito e cum markete.