Giuoka tu, ke invece io no

la conta e il nascondino

Il bello del gioco vien giocando.

Ci troveremmo impreparati dinanzi alla complessità della vita se da piccoli non avessimo fatto alcuni giochi, perfetti per allenarsi a fluttuare nelle bizzarrie del mondo.

La mosca cieca, per esempio. Situazione in cui preferisci non essere al centro, ma di fatto ci sei perché lo ha decretato la conta. L’ obiettivo è quello di acchiappare, bendati, un compagno di giochi. Passato il primo momento di euforia in cui tutti ti saltellano attorno mandandoti su di giri, la cosa diventa molto frustrante.

Arrivi a un punto in cui sei lì, stordito e oscurato come un ebete con il capogiro, tutti ti arridono e poi si sfilano a un attimo dalla cattura. Per chi ama sempre essere al centro – diciamo personalità egoiche e narcisiste – questo gioco potrebbe dare utili insegnamenti. La morale è: togliti la benda e guarda come ti prendono per il culo mentre ti affanni a fare l’efficace e a vincere.

La dimensione kafkiana della mosca che nel gioco va a caccia di prede giulive invece di essere acchiappata e spalmata con lo scacciamosche, dischiude la metafora perfetta della vita in generale.

Si, perché alla alla fine ti chiedi: “Ma scusa un attimo… le mosche sono tutt’altro che cieche. Hanno degli occhi di una potenza visiva mostruosa. Perché bendarle?” Ecco appunto. Fateci caso. Siamo mosche bendate e, dei nostri super poteri – chiamiamoli anche talenti – non frega niente a nessuno.

E però ci troviamo a dover cacciare e a buttare continuamente ami alla rinfusa e all’impazzata. Realizzare, sarebbe un termine più adatto nell’ approccio professionale che ho in mente io.
Tu proponi idee, innovazione, competenza e il mondo del lavoro valorizza, crea, connette.  Invece no, sei obbligato a cacciare alla disperata come nell’era della pietra, con la differenza che gli uomini delle caverne almeno erano capaci. Va esattamente così nella nostra vita sociale e quel gioco stupidello ti prepara alla grande.

Poi c’è il gioco del nascondino. Qui vedo un’analogia perfetta con l’ufficio contabilità di quei clienti che tardano a pagare la tua fattura. Ecco tu sei li che conti ( i giorni, poi i mesi) e intanto l’ufficio contabilità, cucù, gioca a non farsi trovare. Chiami e non è mai l’orario adatto. Finalmente riesci a beccare i famosi quindici minuti consentiti un solo giorno alla settimana ma l’impiegata, toh, è in ferie. Quando poi riesci a stanarla, la devi ancora rincorrere. Sì funziona più o meno così. Vinci quando finalmente il bonifico arriva sul tuo conto e sei estenuato.

Qui si innesca il gioco 3: fulmine. In tre ore il conto torna a zero. Enti creditori, fiscali e di generica riscossione invece – guarda caso – sono visibilissimi e molto più veloci della luce e se non provvedi, partono sanzioni e interessi a ciel sereno. Ovvio, nascondino e fulmine non sono mai intercambiabili. Nel senso che nessuno ti pagherà mai così, zazan!

Poi c’è la palla prigioniera. Oltre a esserti preso una pallata in faccia, sei anche in castigo. Mi evoca un po’ la mitragliata delle cartelle esattoriali, quelle che ti lasciano con la lacrima e il moccio, esattamente come quando il tuo avversario ti centrava il setto nasale e poi esultava relegandoti nelle retrovie del prato, oltre la siepe.

Guardie e ladri. Beh quando fai il ladro ti senti un po’ in colpa ma siccome è un gioco, sperimenti volentieri l’ebbrezza del malandrino. Questo ‘role play’ pare abbia ispirato alla grande i nostri governanti, che ci hanno preso molto gusto, soprattutto nel ruolo di malfattori.

C’è chi preferisce fare la guardia perché risuona di più con il suo cuore buono, financo un po’ bacchettone; ti piace essere un giusto? Comunque te la devi sudare. Il brutto, ora ricordo, era che quando con la tua squadra di guardie acciuffavi i ladri, il gioco non prevedeva nessuna punizione per loro, ma solo una semplice inversione dei ruoli. Niente, nemmeno quella cosa delle cinque dita ricordate? Dire, fare baciare, lettera e… testamento: niente espiazioni, all’impunità ci si abituava già per gioco.

La bandiera. Due squadre o fazioni gareggiano per accaparrarsi un fazzoletto che il Pierino rimasto ultimo nella conta fa penzolare floscio in territorio neutrale. Poi, di brutto chiama la prima, la seconda o la terza riga di sfidanti e chi è in gara, deve arraffare per primo il fazzoletto. Con astuzia, sgusciando via dal tocco-richiamo dell’avversario che ti obbliga a mollare la posta in gioco. Il clou di questo gioco è riuscire a fregare il contendente, magari facendo finte mosse.  Mi ricorda qualche partito politico.

Rialzo. Nel fuggi fuggi trovi un punto più alto e sei salvo. Questo gioco ti prepara in caso di alluvione e scioglimento dei ghiacciai. Pare che lo abbia inventato Trump e lui, per essere sicuro, in tempi non sospetti si è costruito un grattacielo in Fifth Avenue.

E poi ci sono i giochi personalizzati: “Facciamo che io ero il dottore”. Lì qualche soddisfazione te la prendevi, magari facendo la puntura con le matite affilate ai figli delle amiche di tua madre, che ti venivano affibbiati sempre controvoglia quando le madame si trovavano per conversare e prendere  il the.

In ogni caso, questo gioco ti lasciava più immaginazione e, data la sua struttura aperta, potrebbe dischiudere nuove vie anche nella vita adulta.

Facciamo che lavoravo, che le mie capacità venivano riconosciute e che venivo anche pagata? Io questa formula la propongo sempre, ma nessuno sta al gioco. Sono diventati tutti troppo seri…

Voj pensa a gjuoko, ma più impuortante fare la kuonta.
Ambarambà cicj kuokò:vince ki la fa. Se inventa una kuonta personaljsat, luj più furbo di tutj!